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Uomini e Padri – l’oscura questione maschile – di Giuditta Lo Russo - Borla

Soverato, 6 aprile 2004

UOMINI E PADRI


Il lavoro di Giuditta LoRusso, docente di Antropologia Sociale all’università La Sapienza vuole affrontare l’importante capitolo della costruzione simbolica e sociale della paternità e del complesso rapporto degli uomini con la procreazione andando a fondo sull’originaria condizione maschile.


  • IL PROBLEMA IRRILEVANTE

  • RIDEFINIZIONE DEL PROBLEMA

  • L’ARTIFICIO DELLA PARENTELA

  • MA IL SANGUE NON E’ ACQUA

  • LO ZIO MATERNO

  • QUEL LONTANO MONDO ALTRO , COSIDDETTO MATRIARCALE

  • LA TEORIA DI LEVI-STRAUSS

  • IL MATRIMONIO OVVERO LA SOLUZIONE

  • LA COSTRUZIONE SOCIALE DEL PADRE

  • SUO PADRE, SUO MARITO, SUO FRATELLO

  • SUA MADRE, SUA SPOSA, SUA SORELLA


Il problema irrilevante

Attraverso la letteratura antropologica, viene considerato irrilevante un certo problema, il problema del padre. Mi spiego meglio, da alcuni autori viene considerato di poco conto, marginale, piccolo, irrilevante il problema della paternità. L’ignoranza in questione consiste nella non consapevolezza del contributo biologico maschile alla procreazione, diffusamente accertata nelle culture arcaiche.

Nelle culture prescientifiche il livello di conoscenza era tale da non comprendere il concetto di fecondazione e neppure il rapporto di causa-effetto tra atto sessuale e gravidanza, non essendo nota, cioè scoperta, la proprietà fecondativa dello sperma. Ne consegue che per tali culture non risulta esservi legame biologico, cioè consanguineità, per parte di padre. Oggi, dopo un cammino di millenni siamo addirittura arrivati alle tecniche di fecondazione artificiale…rendendo di nuovo problematici i concetti di maternità, paternità e di parentela rendendo meno certi i confini fra il biologico e il sociale…

Ma c’è stata una realtà in cui la non conoscenza di certi dati, rendeva gli individui di sesso maschile culturalmente tagliati fuori dalla discendenza biologica e dal sistema di relazioni genetiche naturali sulle quali si costruisce il sistema parentale.

La scienza antropologica ha ripetutamente scartato tale problema, lo ha sistematicamente occultato o rimosso, ma sappiamo dalla psicologia che dove esiste una grande e sistematica rimozione, lì c’è un grande problema.

In vari scritti etnografici, la gravidanza è raccontata come l’incarnazione nella donna di uno spirito che abita altrove e può arrivare a lei per le strade più diverse…fiori, frutti, acque..spiriti bambini..

Tali credenze erano praticamente diffuse in tutte le parti del mondo, ancora in questo secolo. Nei gruppi umani vigeva la completa libertà sessuale prima del matrimonio e i riti di pubertà prevedevano la deflorazione delle ragazze da uomini che non erano i mariti… La gravidanza arrivava dunque magicamente dopo che era stato predisposto lo spazio per accogliere il bambino mediante l’atto sessuale….che escludeva il riconoscimento di consanguineità fra padre e figlio, alla formazione del quale prevedeva solo l’organismo materno.

Nella mitologia, del resto troviamo Adone figlio della vergine Nana che lo aveva concepito dopo aver mangiato un melograno, Danae che generò Perseo per essere stata fecondata da una pioggia d’oro…

Fino al dogma della Vergine Maria fecondata attraverso l’orecchio dalle parole dell’arcangelo Gabriele.

(Primitive paternità, The legend of Perseus di Hartland evoluzionista -ottocentesco)

Gli esempi sono innumerevoli.. e sono la testimonianza della primitiva non consapevolezza del ruolo svolto dal padre nel concepimento.

La domanda che si pone G. LoRusso è questa: Il fatto che gli uomini siano ritenuti estranei alla procreazione come può essere irrilevante rispetto allo studio della parentela?

Se la struttura parentale è costituita dalle relazioni sociali in cui viene regolamentata la discendenza e filiazione, ci chiediamo come si possa comprendere tale realtà strutturale della cultura studiata senza tenere conto che all’interno di tale cultura, gli uomini non hanno consanguineità con i propri figli, dunque non hanno figli e pertanto non possono avere discendenza diretta.

Che tale problema poco importante per gli antropologi, fosse invece della massima importanza per le società primitive che essi studiano è testimoniato dalla figura dello zio materno.

La centralità di questo ruolo nelle culture arcaiche dimostra quanto fosse importante assicurare ad ogni uomo una discendenza biologica, in assenza del legame padre-figlio. Dove non vi sia consapevolezza di tale legame biologico, il legame di sangue più prossimo che lega un uomo alla generazione successiva è quello che passa attraverso i figli della sorella.

L’antropologia del nuovo secolo strutturale e funzionalista… ricerca sul campo…Bronislaw Malinowski antropologo britannico di origine polacca ( 1884-1942) esponente del funzionalismo, fautore dell’osservazione partecipante… ha lavorato per tutta la vita su una piccola unità, gli abitanti delle isole Trobriand nella Melanesia Nord-Occidentale. I trobriandesi costituiscono la comunità primitiva più approfonditamente studiata in antropologia: il bambino è fatto della stessa sostanza della madre… il tama è il marito della madre, il tama è uno straniero…un’estraneo. Il matrimonio è patrilocale.. la donna entra a far parte della comunità del villaggio alla quale appartiena il marito che curerà i figli nati , ma al momento della pubertà il bambino viene a sapere che non appartiene allo stesso clan del suo tama, ma a quello della madre. Appare lo zio materno Kadugu il bambino avrà la cittadinanza nel villaggio dello zio, le sue proprietà… Situazioni simili sono trovate fra gli aborigeni in Australia.. esempi sui maiali e i cinghiali…. Bambini nati da donne che avevano il marito lontano per tempi superiori ai 9 mesi… dimostrano che alcune popolazioni non sanno come nascono i bambini…

Quando noi troviamo una credenza, un costume o una istituzione, o ancor più quando troviamo una serie di credenze, costumi istituzioni fra loro connessi, che abbracciano le culture inferiori, noi possiamo ragionevolmente dedurre che le loro radici risiedono in idee comuni al genere umano originatesi nel mondo ancestrale primitivo.


Ridefinizione del problema

L’idea di fecondazione non poteva appartenere all’umanità fin dalle origini. Si poteva vedere la gravidanza, ma non l’oscuro processo che lo determina.

(solo nel 1839 con la teoria cellulare si incominciò a conoscere di fatto come funziona, dal punto di vista genetico, la partecipazione dei due genitori all’opera procreativa)

La consapevolezza della consanguineità tra padre e figlio presuppone innanzitutto la scoperta del nesso causale tra atto sessuale e gravidanza, nesso non facile da cogliere..

L’acquisizione della nozione che l’atto sessuale è la causa della gravidanza, è dunque resa più difficoltosa dal fatto che non ad ogni atto sessuale consegue l’effetto della gravidanza….

Inoltre, nelle società arcaiche la donna nubile era rarissima e non c’erano restrizioni sessuali prematrimoniali, un altro fattore che ha poi contribuito a ritardare la scoperta della relazione di consanguineità fra padre e figlio è da considerare l’originaria compatta omogeneità somatica all’interno dei gruppi.

Alcuni studiosi hanno portato a riguardo argomentazioni del tipo: è impossibile che i primitivi non sappiano come realmente come stanno le cose….sanno benissimo ma negano di sapere.. conoscono ma disconoscono, oppure rimuovono.

Le espressioni più frequentemente usate per definire la questione sono infatti oltre a ignoranza della paternità, negazione della paternità, disconoscimento della paternità, rimozione, dogma

Questa profonda e ben radicata tendenza alla rimozione e fuga dal problema in questione da parte degli studiosi della cultura patriarcale…la dice lunga.

La questione di cui si occupa questo libro non riguarda il conoscere o l’ignorare, questo non è il problema.

Affrontare la questione della paternità primitiva in termini di conoscenza-ignoranza è precisamente un modo per non riconoscerla in quello che è il suo reale significato.

Non si tratta infatti di un problema di conoscenza.

Non tutto ciò che è in natura fa parte immediatamente della cultura.

Se è vero che la relazione genetica padre-figlio esiste in natura, indipendentemente dalla consapevolezza che una cultura ne ha, è anche vero che, in una cultura che non abbia ancora raggiunto tale sia pure approssimativa consapevolezza, per i soggetti non può esistere paternità. Per il primitivo il contenuto del problema, non è un contenuto di conoscenza. Tanto meno di ignoranza, perché chi ignora, ignora anche il fatto di ignorare.

E’ importante dunque ridefinire il problema dal punto di vista della cultura cui esso si riferisce. Significa trasformare il problema visto in problema vissuto da esseri umani, soggetti di esperienza e non oggetti di studio.

A questo punto è utile soffermarsi su quello che gli antropologi dal loro punto di vista hanno chiamato “ignoranza della paternità”.

Se ci si pone dal punto di vista dei primitivi, intesi come soggetti che vanno costruendo il sociale e organizzando la realtà (la loro realtà di conoscenze), significa che metà del genere umano vive il suo essere nel mondo come biologicamente non necessario.

Nella cultura delle origini (il problema è qui) esiste la condizione esistenziale di quella metà del genere umano che si percepisce esclusa dalla dimensione procreativa. Ne segue che il c.d problema della paternità si configura come il problema della condizione maschile prima che si scoprisse la proprietà fecondativa dello sperma. Una cultura va studiata per quello che sa e non per quello che ignora, nel caso specifico, che cosa sa la cultura primitiva del processo di trasmissione della vita? Sa quello che vede: gli esseri umani nascono tutti da un corpo di donna e gli uomini restano chiusi, finiti in se stessi. Ogni uomo nasce da un corpo di donna, cresce e muore. L’albero della vita ha solo ramificazioni femminili per il primitivo, gli uomini appaiono come rami secchi destinati a cadere, senza lasciare traccia di sé.

La loro realtà è quello che sanno della realtà.

Da un punto di vista dei soggetti, risulta evidente che l’esperienza dei primitivi non è un’esperienza sul sapere e ignorare, ma è un’esperienza tangibile di esclusione. Esclusione del maschio, di tutti i maschi dal fatto centrale dell’esistenza, dal processo per cui la vita nasce dalla vita e continua in una nuova vita.

Abbiamo allora ridefinito il problema che non è l’ignoranza della paternità. Il problema è l’esclusione dalla procreazione. Esserci o non esserci nel fatto centrale della vita. (nascita accoppiamento, morte).


L’artificio della parentela

Se da un lato l’antropologia ha dato poca importanza alla questione della paternità fra i primitivi, tutte le scuole, dal funzionalismo allo strutturalismo hanno dato notevole importanza allo studio della parentela per la comprensione della cultura primitiva.

La struttura stessa della società primitiva è una struttura di relazioni parentali.

Qui dobbiamo dimostrare che il famoso problema irrilevante era invece basilare e centrale fra le culture primitive.

L’ambito della parentela è una realtà per tutti noi così ovvia e naturale da rendere insospettabile ad un occhio profano la complessità di strategie e artefici che essa sottende. In effetti la nostra concezione della parentela può dirsi per molti aspetti molto più naturale che non quella riscontrata nella maggior parte delle società primitive.

Henry Lewis Morgan (1818-1881)etnologo statunitense che studiò i pellerossa irokesi … padre il fratello del padre e zio il fratello della madre… il merito che tutti gli riconoscono e aver fatto la distinzione fra sistemi classificatori tipo irokese (il termine padre designa tutti gli individui maschi della generazione del padre…) e sistemi descrittivi ( dei sistemi di parentela tipo il nostro).

Ma se il sistema descrittivo posteriore e più recente è fedele ai fatti di natura, in quanto rispetta le linee di discendenza naturale, perché esso sarebbe stato ovunque preceduto da un sistema classificatorio che non le rispetta ma le confonde?

Morgan da una spiegazione oggi superata dall’antropologia moderna: la promiscuità sessuale delle origini.

Ma Morgan aveva anche individuato il problema di fondo che si annidava nei sistemi arcaici di parentela, cioè la strana incomprensibile discrepanza tra relazioni biologiche naturali e relazioni parentali d’origine culturale. Ma perché il sistema parentale a noi familiare, tipico delle culture in qualche modo più lontane dallo stato di natura, risulta essere quello che è invece più aderente ai fatti biologici della natura, mentre culture primitive che pensiamo più vicine allo stato di natura hanno sistemi parentali che sembrano prendere così marcatamente le distanze dai fatti naturali della consanguineità?

Perchè, secondo un certo filone antropologico per i primitivi i rapporti genealogici e la consanguineità sarebbero irrilevanti, tanto da non venire neppure riconosciuti?

Perché proprio nelle società primitive le relazioni genetiche naturali vengono in un certo senso scalzate da relazioni artificiali che si sovrappongono ad esse snaturandole?

Gli studi sono innumerevoli e complicati, tanto che la soluzione è più complicata della domanda.

Siamo convinte che la logica che governa i sistemi di parentela arcaici sia più semplice.

Dovremo allora riflettere mediante lo studio della parentela, sui sistemi arcaici di parentela quale originario articolarsi dell’ordine culturale su quello naturale, essendo proprio tali sistemi primitivi l’espressione più significativa del modo in cui le basilari relazioni biologiche vengono plasmate dalla cultura e incapsulate in relazioni e ruoli parentali, socialmente definiti e strutturati.


Ma il sangue non è acqua

Se i fatti della vita sono innanzitutto accoppiamento e riproduzione, come può essere irrilevante per la comprensione della parentela nella cultura primitiva il fatto che, per tale cultura accoppiamento e riproduzione siano realtà reciprocamente indipendenti ,non legate da quel nesso di causa-effetto che costituisce il fondamento biologico della paternità?

Lo strano rapporto tra relazioni biologiche naturali e relazioni parentali d’origine culturale, che si chiarisce quella che ci sembra la stretta connessione tra il problema del padre e l’artificio della parentela nelle culture arcaiche.

In queste culture, se si tiene conto della c.d. questione dell’ignoranza della paternità la relazione padre-figlio è essa stessa una relazione esclusivamente sociale, non implicante alcun rapporto biologico-genetico. E quindi, non potrebbero essere proprio i sistemi di parentela delle culture arcaiche l’espressione più significativa dell’esigenza,fortemente presente in queste culture, di inglobare, imparentare in una rete di relazioni “artificiali”, culturalmente costruite, quella metà del genere umano che resterebbe isolata ed esclusa rispetto alle fondamentali relazioni parentali, se queste restassero quelle biologiche del sistema genetico-naturale?

Crediamo quindi fin d’ora indicare proprio nella necessità di trovare una soluzione culturale al problema della originaria condizione maschile, una spiegazione possibile del fatto che la cultura primitiva costruisce complessi sistemi di parentela del tutto artificiali, in cui le relazioni sociali prevalgono su quelle biologiche, diventando anche più importanti di queste. Molti antropologi lo hanno spiegato asserendo che per i primitivi in legame genetico non era così importante..ma il sangue non è acqua dice un antico detto popolare…

Secondo questo lavoro, proprio per i primitivi la consanguineità era così importante che è stato necessario negarne l’importanza.

Si è venuta delineando l’esigenza di fondo di riequilibrare una situazione di originario squilibrio, in cui gli uomini risultano esclusi dal sistema genetico naturale, e creano un quadro culturale in cui lo specifico rapporto genetico viene assorbito e ridefinito entro un più vasto sistema di parentela sociale che comprenda allo stesso modo procreatrici e non procreatori, scavalcando e quindi negando i legami naturali di consanguineità.

Alla luce di tale esigenza è comprensibile che lo stesso fenomeno procreativo naturale divenga oggetto di una precisa ridefinizione culturale tendente a ridurre, minimizzare la rilevanza ed evidenza stessa del ruolo genetico femminile, accentuando l’importanza culturale del ruolo sociale maschile.

Ci sono addirittura lavori in cui si evidenzia la negazione genetica della madre per la creazione culturale della madre (chiamo madre tutte coloro che potrebbero esserlo)..

Creare culturalmente e socialmente il padre è quello che è stato culturalmente fatto..

Addirittura il padre attraverso il sogno….. fa ingravidare la madre e in questo modo c’è la negazione della maternità femminile come attività creatrice, in quanto la donna viene ridotta a una semplice scatola, un contenitore in cui l’uomo inserisce un essere che la madre non ha contribuito minimamente a creare.

Riteniamo che la conoscenza dei complicati processi fisiologici e biochimici legati al concepimento non sia stata una conoscenza innata dell’umanità… c’è stato dunque un prima e un dopo… rispetto all’acquisizione della nozione biologica padre-figlio, c’è stato perciò un percorso evolutivo di conoscenza, dalla primitiva ignoranza, all’immaginazione,, alla congettura, alla conoscenza, alla scienza, fino alla manipolazione tecnologica del dato genetico.



Lo zio materno

La diversa rappresentazione della “natura della discendenza” nelle culture arcaiche significa innanzitutto diversa collocazione dei maschi rispetto alle relazioni genetiche naturali. Ci siamo trovati nelle culture arcaiche alla “strana svalutazione del biologico” in quanto espressione della necessità di correggere nel sociale una situazione percepita come drammaticamente asimmetrica sul piano biologico.

Ma questa necessità ci fa invece capire quanto era l’originario imprescindibile valore del biologico nella cultura arcaica e la sua innegabile importanza.

Questa importanza è tutta racchiusa nella figura dello zio materno.

Gli antropologi chiamano questa particolare istituzione avuncolato (dal latino avunculus zio materno). Al posto della patria potestas troviamo la avunculi potestas, che testimonia che un tempo la relazione zio-nipote è stata più importante della relazione padre-figlio.

Quindi, se da un lato si è cercato di dare scarso valore al biologico con artificio della parentela, dall’altro c’è stata per l’uomo l’insopprimibile esigenza , che non sa di essere padre, di proiettarsi e continuare in qualche modo nella generazione dei figli riconoscendo come propri eredi naturali i parenti consanguinei a lui più prossimi, i figli della sorella.

(Emile Benveniste, linguista francese -1902-1976 - Vocabolario delle istituzioni indoeuropee, … sunus –filius… rampollo che nutro, dal latino felo nutrire……)

La successione è rintracciabile presso gli antichi re di Roma…. In Guinea… fra i Nubiani… nell’Africa centrale… fra i Berberi…

In base a tutte le testimonianze, è presumibile che la posizione privilegiata occupata dallo zio materno, tipica della fase arcaica delle varie culture, sia rimasta poi come sopravvivenza, lenta a morire, in epoche più tarde anche in popoli successivamente divenuti patrilineari.

In antica Babilonia, al posto del Dio padre, c’era il dio-zio…

(Malinowski descrive la relazione figli e marito della madre con la figura dello zio materno al momento della pubertà per quanto riguarda l’educazione e l’eredità…)

E pensate alle ripercussioni di queste scoperte… in ambito psicologico freudiano sul complesso edipico..

Del problema dello zio materno si è occupata una gran parte della letteratura antropologica… Radcliffe-brown nel 1924 “lo zio materno in Sud Africa”, Henry Junod fece uno studio sui Thonga nell’Africa orientale portoghese…..

Il costume dello zio materno, la avunculi potestas in luogo della patria potestas , è in effetti molto difficile da spiegare se non lo si riconduce al problema della originaria condizione maschile, che ne illumina la ragion d’essere e il significato. Infatti sarebbe inconcepibile che un uomo non dia da mangiare ai propri figli per dare da mangiare a quelli della sorella.. se non riconoscesse in loro gli unici discendenti…

Il “curioso costume” diviene tutt’altro che privo di significato alla luce del problema della paternità: l’importanza e quindi la pertinentizzazzione della relazione avuncolare è biologicamente giustificata secondo la natura della discendenza della cultura arcaica, cioè secondo il suo livello di conoscenza dei fatti genetici.

In definitiva, sostiene G. Lo Russo, la figura dello zio paterno è la prova dell’ignoranza della paternità nelle culture arcaiche.

Il sangue non è acqua e lo zio materno è la voce del sangue, rappresenta l’arcaica forza del legame consanguineo che tende a scalzare la parentela biologica per far posto a quella sociale.

Radcliffe-Brown: N.B. : in regime patrilineo, in cui il padre, e la linea del padre, rappresentano l’autorità tradizionale, lo zio materno è considerato come una “madre mascolina”, viene di solito trattato allo stesso modo e talvolta persino chiamato con lo stesso modo e talvolta chiamato con lo stesso nome della madre.

La situazione opposta è realizzata in regime matrilineo. In esso lo zio materno incarna l’autorità e le relazioni di tenerezza e familiarità si fissano sul padre e sulla sua linea.

Per Levi-Strauss lo zio materno è un grande fenomeno strutturale… per Edmund Leach (1910-1989) antropologo britannico, giunge a negare che il problema dello zio materno sia un problema… sostiene che non vi sono basi logiche…

Per la Lo Russo, invece il problema dello zio materno e diretto corollario dell’ignoranza della paternità, parte integrante dell’oscura questione maschile su cui ha indagato.

Lo straordinario potere dello zio materno nelle culture arcaiche ci mette di fronte a una realtà inequivocabile:

Quella che nella società patriarcale sarà l’indiscusso diritto del padre che viene ancor prima del padre. E’ il diritto degli uomini, a monte del quale sta l’atavica preoccupazione maschile di stabilire comunque il controllo su ciò che l’uomo non ha, su ciò che non è suo e non gli appartiene, i figli innanzitutto e la capacità di generarli. La potenza procreativa della donna, ancor prima che il maschio scoprisse e enfatizzasse la propria, deve comunque sottostare al controllo maschile. Se l’ignoranza della paternità rende ovviamente impossibile l’affermazione della patria potestas, la donna mette al mondo figli che saranno proprietà di suo fratello, la di lui discendenza, sui quali, oltre che su di lei, naturalmente esercita una potestas diretta.


Quel lontano mondo altro, c.d. matriarcale

Morgan trovò che fra gli irokesi il sistema era classificatorio matrilineare , ciò significa che la discendenza veniva calcolata in linea femminile. Questa realtà era stata descritta da Erodono per i Licii… che Morgan commenta.. Dobbiamo considerare generalmente l’uso del nome materno per designarne la discendenza come un residuo di una condizione imperfetta della vita sociale e della legge familiare, uso che, divenendo la vita più ordinata, fu abbandonato in favore del costume, fattosi poi universale in Grecia, di designare i figli in relazione al padre.

Un’altra scoperta di Morgan, oltre al sistema classificatorio di parentela… è l’organizzazione gentilizia, anticamente matrilineare, cioè il raggruppamento delle popolazioni arcaiche in gentes, gruppi di natura parentale, la cui caratteristica di fondo è la regola di discendenza unilineare… la c.d. questione del lignaggio, (tribù, fratria, clan, gens..) .. i consanguinei erano essenzialmente legati da vincoli di sangue per parte materna. Nella gens antica, la discendenza si stabiliva soltanto in linea femminile… quando la paternità non era accertabile con sicurezza, e quando la maternità offriva l’unico criterio sicuro di discendenza. Morgan ebbe il merito di evidenziare una realtà antropologica molto importante: il sistema di parentela a noi familiare, che riconosce all’individuo due linee genealogiche, quella del padre e quella della madre, sarebbe stato ovunque preceduto da un sistema unilineare. La linea di discendenza matrilineare avrebbe universalmente preceduto quella patrilineare.

Morgan sostiene poi: L’influenza della proprietà e il desiderio di trasmetterla ai figli fornirono motivazioni adeguate per il passaggio alla linea maschile…

Il passaggio dall’antica discendenza matrilineare a quella patrilineare sarebbe stato dunque determinato da fattori economici, precisamente dall’accumularsi della proprietà privata. (G. Lo Russo è contraria alla tesi di Morgan)

Nella tesi di Morgan, l’organizzazione gentilizia matrilineare sarebbe coincisa con una struttura economica di tipo arcaico, caratterizzata dal possesso comune della terra e dei beni, il c.d. comunismo primitivo. L’accumularsi della proprietà, dovuto all’evoluzione delle tecniche di sussistenza, al passaggio dall’orticultura all’agricoltura, all’addomesticamento degli animali, avrebbe reso insostenibile il precedente sistema di discendenza, che non permetteva al padre di lasciare l’eredità a figli sicuramente suoi. Secondo Morgan, sarebbe stata proprio la proprietà privata il fattore determinante che avrebbe spinto l’umanità a superare la promiscuità sessuale delle origini, imponendo il matrimonio monogamico.

Significativa sopravvivenza dell’antico sistema unilineare patrilineare, tendente a soppiantare ovunque quello più antico, è il fatto che ancora oggi tutti noi portiamo il cognome del padre e non quello della madre, con la conseguente netta discriminazione dei figli illegittimi, nati senza padre, rispetto a quelli legittimi. Secondo Morgan la questione della discendenza femminile si spiega con: barbarie-civiltà, promiscuità-monogamia…” tra i meriti della monogamia c’è dunque per Morgan quello di assicurare la paternità ai figli.

Ma prima che l’uomo sappia di poter generare, non può fondare una gens…. Se non c’è un padre, non può esservi sistema patrilineare. Ma c’era bisogno di inventarsi la promiscuità delle origini per spiegare il fatto che il sistema di discendenza più antico non poteva essere che matrilineare? La teoria di Morgan è stata demolita dagli antropologi del 900, severi contro l’ipotesi di promiscuità primitiva.., ma fu invece ripresa dalla cultura marxista (Karl Marx il filosofo ed economista tedesco 1818-1883) che invece aveva visto nella sua opera un’interpretazione del mutamento sociale in base a fattori economici e sottolinea l’incidenza che tali fattori hanno avuto nel determinare l’evoluzione delle istituzioni politiche, giuridiche e familiari… Il matriarcato primitivo fu ripreso dal filosofo e politico tedesco Friedrich Engels (1820-1895) collaboratore di Marx alla stesura de “Il Capitale” nel 1884 nel suo libro “L’origine della famiglia della proprietà privata e dello Stato..” che con una forzatura ideologica costruisce un messaggio di liberazione per le donne oppresse legato alla prospettiva di un rivolgimento totale della società ad opera del socialismo. Quest’ultimo, abolendo la proprietà privata che ha contribuito a instaurare il potere patriarcale e con esso l’abbassamento della donna dalla sua presunta originaria posizione di potere, avrebbe restituito alla società, alle donne soprattutto, l’organizzazione comunistica che rese possibile l’epoca d’oro del matriarcato primitivo.

Morgan non aveva parlato di matriarcato, ma di discendenza matrilineare, ma in tutto l’Ottocento si diffusero teorie sul matriarcato primitivo che coinvolse la cultura dell’epoca e i cui echi non sono del tutto spenti…


Nel 1861 il giurista svizzero J.J.Bachofen (1815-1887) pubblicò un’opera di 1200 pagine intitolata “Il diritto materno” dove viene fatta la prima vera formulazione della teoria del matriarcato… l’autore vuol dimostrare che in tutto il mondo il diritto materno avrebbe universalmente preceduto il diritto paterno… ma quello che Bachofen scopre è la discendenza matrilineare…

Infatti egli interpreta pertanto la trasmissione di parentela, diritti, beni ereditari attraverso la madre, anziché attraverso il padre, e l’assunzione del nome di lei, come vero e proprio matriarcato, cioè effettivo dominio della donna in tutte le sfere della vita familiare, politica, sociale e religiosa. In base a tale interpretazione, Bachofen elabora la sua suggestiva teoria secondo cui il diritto materno appartiene ad un periodo di civiltà più antico di quello corrispondente al sistema del diritto paterno. Studiando molti popoli, Bachofen sostiene che il diritto materno non era di determinati popoli, ma di uno stadio della civiltà, il quale per similarità e la regolarità di comportamento della natura umana, non può essere ridotto o limitato a un sol gruppo di popolazioni affini.

I miti, le leggende, la storia… ci dicono che in un mondo remoto esisteva una realtà senza padre, il legame di sangue con la madre è il solo riconosciuto, così forte da “oscurare” quello con il padre…

Bachofen sottolinea come la potenza generativa maschile, essendo molto meno evidente di quella femminile, è mistero che deve essere svelato, mentre la maternità sin dall’inizio di per sé manifesta, immediatamente data, visibile.

La paternità deve essere scoperta, il padre viene dopo la madre, il diritto paterno viene dopo quello materno…

Testimonianza della diversa enfasi sul ruolo procreativo maschile, è la famose interpretazione dell’Orestiade di Eschilo. In questa tragedia Bachofen vede simbolicamente rappresentato il conflitto tra i due mondi, il vecchio ordine matriarcale in declino e il nuovo ordine patriarcale vincente… dramma di Oreste figlio di Agamennone che uccide la madre Clitennestra per vendicare la morte violenta del padre ucciso dalla madre a causa dell’amante Egisto. Le Erinni trovano delitto grave l’uccisione della madre, vincolo di sangue più forte e sacro… Oreste è difeso da nuovi dei del patriarcato, Apollo e Atena che lo assolvono perché Egli ha ben operato in difesa del padre, perché la madre è solo chi nutre un figlio generato dal padre che la feconda… ella ospita il figlio del padre….

Risulta chiaro che l’acquisita consapevolezza della facultas generandi maschile e la sua enfatizzazione sta alla base del nuovo ordine patriarcale, quanto la sovranità del corpo generatore femminile era fondamento dell’antico mondo matricentrico.

La scoperta del ruolo genetico del padre non è facile sapere quando è stata… essa sarebbe avvenuta in Grecia ad opera di Cecrope, mitico re originario dell’Attica considerato dagli ateniesi scopritore della duplice origine dell’uomo, procreato da una donna e da un uomo e istitutore del Matrimonio ,nonché quello che introdusse il mito di Zeuse di Atena.

Secondo Bachofen… per primo pose il padre a fianco alla madre e conferì al bambino una duplice discendenza…

Ed è a Cecrope che si deve il culto dell’Ermes fallico, simbolo di fecondità… non appena si riconosce il padre, viene superata la ginecocrazia e si attua la vittoria del principio paterno su quello materno e sulla verità naturale…

Dopo la scoperta che il liquido seminale era generatore, il mondo si riempirà di simboli fallici…

Vedi Orestiade:.. non è la madre che genera chi è chiamato suo figlio… genera l’uomo che la feconda…

Figlio prevalentemente del padre, di lui solo porterà il nome e perpetuerà la discendenza..

Aristotele: la femmina è contraddistinta dall’impotenza, l’uomo per natura è superiore ,l’altra inferiore, l’uno comanda e l’altra è comandata.. il corpo ha origina dalla donna e l’anima dal maschio…

Non diverse sono le argomentazioni di San Tommaso .. la donna è imperfetta..e come avviene nelle arti.. la femmina prepara la materia e l’uomo dà la forma alla materia preparata…

Una volta scoperto il ruolo procreativo del padre ed affermatosi il presupposto della sua assoluta preminenza nella generazione, non si fece che perpetuare, rovesciandola, la primitiva concezione unilineare, riproponendo una teoria che escludeva uno dei due genitori, questa volta la madre, dall’opera procreativa.

Gli dei della nuova stirpe, le divinità patriarcali difendono Oreste. Atena la dea senza madre, che non è nata da donna, ma è sbalzata creatura perfetta e meravigliosa dal cervello di Giove, dio paterno protettore della città… Atena: propendo sempre per l’uomo con tutto il mio cuore, perché sono tutta del padre…

Bachofen scrive: la norma del tempo antico è abbattuta. Al suo posto s’impone una regola nuova… Il vincolo predominante tra il figlio e la madre viene accantonato. Il diritto dell’uomo prevale su quello della donna…

Bachofen sottolinea comunque un dato ripreso anche dagli antropologi moderni: dopo la scoperta del contributo di entrambi i genitori alla generazione, la regola di discendenza resterà unilaterale e verrà calcolata solo attraverso il padre.

Sottolineiamo questo passaggio: intenzionale esclusione della madre.

Bachofen sostiene chela completa cancellazione della Madre, si configura quale obiettivo fondamentale del diritto paterno vittorioso.. questa cancellazione sarà perseguita da concezioni religiose, filosofiche, giuridiche… Siamo passati da una maternità che non conosce padre, a una paternità che deve cancellare la madre!

Il mondo greco, poi quello romano, quello giudaico-cristiano calcoleranno le proprie genealogie: Abramo genero Isacco che generò Giacobbe che generò Giuda…

Rimovendo sistematicamente il fattore “ignoranza della paternità”, la promiscuità delle origini resta la fragile categoria in cui finiscono per cadere gli evoluzionisti ottocenteschi nel loro tentativo di spiegare la discendenza matrilineare. Questa categoria farà cadere le loro opere nel totale discredito da parte degli antrolopogi del Novecento.

Caduto lo schema evoluzionista promiscuità-monogamia, barbarie-civiltà, in base al quale gli studiosi dell’ottocento credevano di poter spiegare la successione in linea femminile, alimentando su di essa il mito del matriarcato primitivo, l’antropologia del Novecento non sa più spiegare la discendenza matrilineare…


La teoria di Levi-Strauss

Studiare la parentela nelle culture primitive significa capire qual è stata la ragione che portò tali culture ad elaborare complessi sistemi artificiali di parentela sociale indipendenti dalla parentela biologica.

Levi-Strauss ha tenuto vivo il senso di tale problematicità.

In “le strutture elementari della parentela” opera di circa 700 pagine…c’è il tentativo di spiegare una molteplicità di fenomeni complessi..Tali fenomeni sono innanzitutto la regola della proibizione dell’incesto, il matrimonio con le sue varie regole, proibizioni e prescrizioni, i sistemi di parentela…regole di residenza e filiazione, il problema dello zio materno ecc…

Levi-Strauss affronta in tutta la sua complessità la difficoltà di trovare un criterio valido per stabilire la distinzione fra stato di natura e stato di cultura. Se c’è un criterio di universalità fra tutte le culture tale criterio appartiene alla sfera di natura, mentre la sfera della cultura presenta, al contrario, le caratteristiche del relativo e del particolare, essa è il mondo delle regole. Ogni cultura stabilisce al suo interno, ciò che si deve o non si deve fare… se c’è una regola, allora siamo nella sfera della cultura..

Alla luce di questa premessa, la regola dell’incesto , presente in tutte le culture, ha carattere di universalità e quindi fa parte dello stato di natura , ma allo stesso tempo è una regola, appartiene quindi anche all’ordine dei fenomeni culturali. E’ stata un terribile mistero per gli studiosi, alcuni hanno affermato la presunta naturale ripugnanza di carattere istintivo per gli accoppiamenti incestuosi, ma Levi-Strauss obietta che se così fosse, non vi sarebbe motivo alcuno di proibire ciò che, già naturalmente non correrebbe, comunque il rischio di verificarsi… Per spiegare l’omnipresenza del tabù dell’incesto, Levi-strauss trae le seguenti conclusioni: la proibizione dell’incesto costituirebbe l’unico caso in cui chiederemmo alle scienze naturali di dar conto dell’esistenza di una regola sanzionata dagli uomini…. Alla fine, secondo questa teoria, la proibizione dell’incesto è la regola che ha reso possibile il passaggio dalla natura alla cultura… Questa proibizione costituisce il legame che unisce la sfera dell’esistenza biologica a quella dell’esistenza sociale… è una regola che vieta perché obbliga a instaurare nuovi rapporti..

Questa regola, secondo Levi-Strauss non va vista sui rapporti fra consanguinei che la regola proibisce, quanto sui rapporti esterni alla famiglia che essa impone.

Vietare la sessualità all’interno della famiglia per obbligare lo sposarsi al di fuori di essa.

L’obbligo di cercare il coniuge al di fuori della propria famiglia, esogamia, è l’espressione sociale allargata che comporta il superamento dei rapporti naturali di consanguineità e la creazione di rapporti naturali allargati e nuovi, le relazioni di affinità acquisite attraverso il matrimonio.

Il matrimonio non è mai nella società primitiva un fatto individuale, è un fatto sociale..

La funzione primaria non è quella di unire due persone, ma stabilire rapporti di parentela. Il cognato è una relazione acquisita attraverso il matrimonio.. nella cultura primitiva le relazioni parentali avevano un’importanza primaria, individui, famiglie, gruppi che non sono tra loro imparentati sono non solo estranei, ma nemici; tra di essi regna la diffidenza, la paura, l’ostilità… Il tabù dell’incesto impone lo sposarsi fuori dal proprio nucleo, perché dal matrimonio con un individuo preso al di fuori della famiglia e del gruppo “deriva un beneficio sociale”, la possibilità stessa per la società di esistere.

Originariamente, il matrimonio non ha tanto lo scopo di formare una famiglia, ma al contrario quello di rompere continuamente le famiglie obbligandole ad uscire fuori, a stabilire legami al loro esterno, tessendo e allargando la parentela. E’ fuori dal biologico che sta la possibilità del sociale. Si capisce anche che la parentela svolge un ruolo che è socialmente tanto più importante quanto più la cultura è primitiva, mentre la sua importanza diminuisce notevolmente nella società moderna.

Levi-Strauss evidenzia che proprio la sfera delle relazioni fra i sessi il campo privilegiato in cui è stato possibile innestare la cultura sulla natura: la natura impone l’accoppiamento senza determinarlo e la cultura lo riceve soltanto per definirne immediatamente le modalità

Sono i fatti naturali dell’accoppiamento e della filiazione che costituiscono l’infrastruttura biologica dell’ordine culturale…

La cultura poggia sulla natura, si costruisce intorno ai fatti biologici, inglobandoli.

Il sistema parentale è costruito a partire dal sistema genetico procreativo, si sovrappone ad esso integrandolo. Ma se si tiene conto dell’ignoranza della paternità appare chiaro che le culture arcaiche si rappresentano il fenomeno della procreazione in modo totalmente diverso dal nostro. Precisamente in modo tale che il sistema genetico-procreativo non comprende allo stesso modo uomini e donne. Non tener conto di questa diversità tra la cultura primitiva e la nostra, diversità racchiusa nel problema del padre, significa studiare la parentela nella cultura primitiva prescindendo dalla considerazione di ciò che, per tale cultura, diversamente che per noi, è il fatto centrale della parentela.


Il matrimonio, ovvero la soluzione

La Lo Russo fa una rilettura critica della teoria di Levi-Strauss..

Il punto problematico da cui parte la sua teoria è la regola della proibizione dell’incesto.: imposizione di sposarsi fuori che fonda il matrimonio; il matrimonio è un fatto sociale per eccellenza, esso esprime il passaggio dal fatto naturale della consanguineità al fatto culturale dell’affinità (parentela acquisita per matrimonio; l’affinità dischiude il mondo delle relazioni artificiali e costruisce la parentela; la parentela, in quanto struttura di relazioni non naturali, non biologicamente date, ma culturalmente stabilite è la prima forma di organizzazione sociale. Essa è la società.

Per quale ragione il primo passo che compie la cultura è necessariamente quello di superare i caratteri originari delle relazioni biologiche? Perchè la parentela e con essa la società, è innanzitutto il mondo delle relazioni. L’assenza delle relazioni parentali non definisce il nulla, definisce l’ostilità. La società primitiva è essenzialmente costruita e organizzata intorno alla sistematizzazione delle relazioni parentali. Ma se la struttura della società primitiva è una struttura di parentela e se questa si costruisce attraverso il “rimaneggiamento” dei fatti biologici dell’accoppiamento e della procreazione, come può essere irrilevante rispetto allo studio della parentela nella cultura primitiva il fatto che, per la cultura primitiva, la procreazione non dipende dall’accoppiamento?

Perché la necessità di quell’intervento che obbliga a superare gli originari legami biologici? Non è tale necessità la necessità stessa di trovare una soluzione al problema della condizione maschile, tagliata fuori dalle fondamentali relazioni genetico-procreative?

Non si configura nell’intervento della cultura come superamento delle originarie relazioni biologiche, nelle quali il maschio è percepito come non necessario e costruzione di relazioni allargate nelle quali egli entra necessariamente? Tali sono le relazioni parentali instaurate attraverso il matrimonio, reso possibile dalla cultura imponendo la regola della proibizione dell’incesto.

Sono gli uomini che intervengono per risolvere i loro problemi. Ci proponiamo di dimostrare che i fenomeni fondamentali e universali della società primitiva, cioè la regola dell’incesto, il matrimonio ecc.. costituiscono la soluzione al problema della condizione maschile. La proibizione dell’incesto costituisce il legame che unisce la sfera dell’esistenza biologica a quella dell’esistenza sociale dell’uomo proprio perché essa si pone come la soluzione che è già culturale-sociale ad un problema che è percepito appartenere alla sfera dei fatti biologici.

La cultura porta la soluzione, la regola della proibizione dell’incesto, fondando il matrimonio e con essa la parentela sociale, sarà appunto l’intervento che rende possibile la soluzione del problema e con questa soluzione, la società.

E cosa aggiunge il matrimonio, in quanto istituzione sociale, a quella che è l’unità biologica basilare del sistema, costituita dalla madre e dai figli? Il maschio stabilmente associato a donna e prole nella famiglia coniugale. Il nuovo ordine è un allargamento del sistema di relazioni in modo tale che il maschio, escluso dalle fondamentali relazioni del sistema genetico procreativo, entra necessariamente nel nuovo sistema di relazioni parentali, non più biologiche, ma sociali, instaurato dal matrimonio. Come si spiega altrimenti il fatto che non c’è società al mondo che non abbia il matrimonio come sua istituzione fondamentale? In ogni cultura l’incontro fra i sessi deve avere un riconoscimento sociale, la trasformazione in contratto, in cerimonia o in sacramento sostenuto da sanzioni legali e religiose e mantenuto attraverso varie forme di pressione sociale.

Il matrimonio, è secondo l’autrice, l’istituzione universalmente presente in ogni società e che la società umana esiste solo dal momento in cui si istituisce il matrimonio, perché esso risponde fondamentalmente all’esigenza di associare, inglobare, incorporare in un sistema di relazioni stabili, artificialmente costruito, quella metà del genere umano, che resterebbe tagliata fuori dal sistema naturale di relazioni, se queste restassero quelle biologiche del sistema genetico naturale.

Ci sono studi sul prima e sul dopo… fra i primati, la situazione di natura più vicina alla realtà umana, ci sono società matricentriche che raggruppano le madri con i propri figli e dall’altra parte la gerarchia dei maschi adulti… Il passaggio natura-cultura avviene dunque a condizione che si risolva il problema della condizione maschile, tagliata fuori dalle fondamentali relazioni finchè queste restano quelle biologiche del sistema genetico-naturale.

E’ con la creazione del ruolo culturale del marito-padre (quando ancora non è conosciuto il suo ruolo di riproduttore) che la cultura si afferma sull’ordine biologico. Questa associazione del maschio al nucleo biologico madre-figli non rappresenta solo la soluzione del problema maschile, ma risulterà essere anche un fondamentale beneficio per tutta la società. Vita e continuità sociali sono assicurate dal fatto che ogni generazione provvede a quella successiva e coinvolgere anche quella parte che in assenza di vincoli parentali sarebbe distaccata e periferica ha dato un inestimabile vantaggio all’intera società stessa.


La costruzione sociale del padre

Se dunque originariamente la donna è apparsa la sola protagonista della nascita, fatto centrale della natura (natura deriva da nasco..), e questa è stata fin dall’inizio un’evidenza, un dato biologico immediato, rispetto al quale, appunto, non c’è nulla da fare, ciò che ancora la cultura poteva fare, sulla base di questa asimmetrica realtà, è far sì che la nascita non dovesse avvenire, per precise, severissime regole culturali, senza la presenza istituzionalizzata di un uomo, condannando universalmente la madre nubile e discriminando senza pietà i figli nati fuori dal matrimonio. Che il matrimonio abbia la funzione istituzionale di legare un uomo al gruppo madre figli è espresso dalla radice stessa del termine matrimonio (Benveniste: tale parola ha in latino la stessa radice di mater, preso alla lettera, matrimonium significa condizione legale di mater..)

Come Levi-Strauss ha più volte sottolineato, la cultura costruisce le proprie relazioni artificiali, sulla base delle originarie relazioni biologiche, la natura è il regno di ciò che si può e non si può, la cultura il regno di ciò che si deve o non si deve..

Se gli uomini per natura non possono mettere al mondo figli, la cultura può però stabilire che i figli non debbano venire al mondo fuori del matrimonio stabilendo così che la filiazione debba comunque avvenire sotto la tutela di un uomo.

Osserva Malinowski…ovunque, in tutte le società una ragazza è obbligata a essere sposata prima di ingravidare. La gravidanza e il parto da parte di una ragazza non sposata sono considerati invariabilmente una disgrazia… Le norme culturali proclamano che la famiglia umana deve comprendere tanto l’uomo, quanto la donna..

Questa remota esigenza di simmetria che ha improntato il corso iniziale della cultura e ne ha diretto le principali strategie (prima che l’uomo sapesse di poter procreare) si snoda lungo due fondamentali direttive: da una parte limitare, ridurre fino a negare il peso della consanguineità e del rapporto genetico, dall’altra costruire un sistema di relazioni artificiali aventi la precisa funzione di creare ruoli di parentela sociale, in cui gli individui, classificati insieme, entrino indipendentemente dal rapporto genetico.

La parentela classificatoria è una significativa conferma dell’artificio che è stato necessario introdurre per costruire una struttura di relazioni allargate… l’importanza del legame consanguineo riaffiora e s’impone con la figura dello zio materno che ben evidenzia l’oscillazione della cultura arcaica tra porre l’accento su una discendenza naturale, pur collaterale, e il privilegiare invece una parentela sociale, che si sovrappone alla prima, e si affermerà sulla costruzione culturale del padre.

Sempre Benveniste ha sottolineato che padre e madre non sono termini simmetrici. La madre c’è in natura, fin dall’inizio, il padre deve essere costruito dalla cultura. E la cultura interviene proprio per portare simmetria là dove non c’è.

Inoltre se per esserci paternità deve esserci il matrimonio, le norme culturali esigono che simmetricamente anche per esserci la maternità deve esserci il matrimonio condannando universalmente i figli naturali e la loro madre. Da noi di condanna il figlio illegittimo perché figlio del peccato, fra i Trobriandesi dove il rapporto sessuale fin dalla pubertà è previsto, non c’è la discriminazione fra donne perbene e non , ma “il costume vuole così” poiché non c’è nessun padre che tenga fra le braccia il bambino e aiuti la madre nel crescerlo.. Tama o Tamala..

Bisognerà inventare culturalmente il padre imitando la madre e creare così un forte legame tra padre e bambino.

Margaret Mead (1901-1978), antropologa statunitense legata alla scuola personalità e cultura… e lo studio degli Arapesh… (pag. 154-155)

Nel preciso momento in cui il bambino rivolge per la prima volta un sorriso al padre, gli viene dato un nome, il nome di uno dei membri del clan del padre..

I resoconto etnografici concordano nel sottolineare come il coinvolgimento del padre per quanto riguarda la cura e l’allevamento del bambino sia molto maggiore nella società primitiva rispetto alla nostra. (ricordiamo la figura del nobiluomo europeo al quale i figli venivano presentati ufficialmente quando erano abbastanza grandi per andare a cavallo..e tirare di scherma..)

Anche Malinowski sottolinea quanto sia inaspettato trovare in una società selvaggia dove i legami fisici della paternità sono ignoti e dove regna il diritto materno, il padre sia in una relazione molto più intima coi fanciulli di quello che avviene normalmente fra di noi.

Originariamente, dunque, la paternità non è un dato naturale, ma un’invenzione sociale costruita attraverso l’estensione al padre di funzioni materne: è un’assunzione maschile di ruoli femminili, una imitazione di ciò che fa la madre.

L’affermazione della paternità come ricerca di simmetria e assunzione di caratteristiche materne, addirittura fingersi madre, lo troviamo nel rituale simbolico della couvade (osservato presso le più diverse popolazioni della terra, dall’antichità classica –Marco Polo - fino agli antropologi del novecento) … mediante tale cerimonia il figlio, che in virtù della nascita ha discendenza matrilineare, ottiene anche un padre ben determinato e questo passaggio si attua mediante la finzione della maternità nella persona del genitore che biologicamente non sa di esserlo.

Malinowski ha interpretato questo rituale come forma estrema di affermazione della paternità che non è originaria come invece lo è la maternità, ma si costruisce sul modello di questa per imitazione ed estensione al padre di prerogative femminili,.

Analogamente la parentela classificatoria non è originaria, ma culturalmente costruita.


Suo padre, suo marito, suo fratello

Come osservava Aristotele in Politica, l’unione della donna con un uomo non ha nome nella sua lingua, in tedesco Ehe, propriamente legge, in russo Brak, portar via… a seconda che si tratti dell’uomo o della donna, i termini sono diversi, per l’uomo sono verbali, per la donna nominali…in latino uxorem ducere, condurre… pubere significa prendere il velo, si riferisce al rito, non al matrimonio… troviamo il participio nupta, sposa, o nuptum dare, dare la propria figlia in sposa.. cioè le forme del verbo pongono la donna come oggetto non come soggetto… la donna non si sposa, ma è sposata..

Dall’analisi linguistica di Benveniste, risulta chiaro che l’artefice, colui che compie l’azione, è un soggetto maschile, la donna lo subisce. Addirittura ci sono due soggetti maschili, l’uomo che dà la donna (il padre o il fratello) e l’uomo (il marito) che la conduce nella propria casa.

Lobola – compenso matrimoniale molto diffuso tra le tribù africane stabilisce che colui che prende moglie è tenuto a versare in cambio un compenso convenuto all’uomo che gliela fornisce (più anticamente il fratello o lo zio materno, più tardi sarà il padre di lei..).

La principale funzione della lobola era quella di inserire definitivamente i figli nella famiglia o nel gruppo del padre.. se il lobola non veniva pagato, il figlio appartiene inevitabilmente alla famiglia della madre..

Queste considerazioni confermano il complessivo discorso sulla paternità nella cultura arcaica: non biologicamente data, essa è culturalmente costruita ed affermata attraverso precise regole sociali, fra queste il pagamento del lobola.

All’interno di questa istituzione che la società impone di procreare, condannando universalmente la maternità al di fuori del vincolo del matrimonio. La donna è data e presa in matrimonio in vista essenzialmente del suo essere madre, perché all’interno di tale istituzione che si stabilisce legalmente il controllo maschile sulla maternità. ( in alcune regioni dell’Africa, il matrimonio può dirsi concluso quando la moglie partorisce e gli vive un figlio maschio..) (tecnonimia…il celibe… la sterile…)

Nel matrimonio primitivo, l’amore e i fattori affettivi, hanno poca importanza nel matrimonio primitivo.. l’uomo sfugge allo squallore del celibato e deve avere un suo posto nella parentela e nella discendenza, deve diventare socialmente essenziale, centrale e necessario. Come?

Rovesciando la dipendenza, facendo dipendere donna e bambini da lui.

La famiglia umana è stata probabilmente costruita su tale dipendenza… famiglia da famel ..latino famulus, schiavo… probabilmente la radice di fames, fame che denota dipendenza per la sussistenza.

Nota M. Mead, in ogni società umana, gli uomini procurano il cibo e le donne lo preparano.. fra gli animali biologicamente più vicini a noi, il maschio non provvede alla femmina e ai suoi piccoli…

La dipendenza di donne e prole dal maschio per il sostentamento, dipendenza che non c’è in natura, ma imposta dalla cultura, prevede la costruzione di specifici ruoli maschili che delimitino precise sfere di azione in settori dove vengano escluse le donne. Ne segue la divisione sessuale del lavoro..

La dipendenza della donna da una figura maschile è già molto chiara anche nei più antichi sistemi patrilineari ed avuncolari.. un uomo dipende dalla sorella per avere una discendenza, ma è la donna ad essere resa dipendente dal fratello per la protezione e il sostentamento suo e dei figli..

La donna è la sola madre resa incapace di fare quello che tutte le femmine del regno animale fanno, cioè provvedere a se stesse e ai loro piccoli..

Queste capacità devono esserle negate da chi deve originariamente fondare nell’incapacità femminile le ragioni del proprio ruolo nella famiglia e nella società… e ciò che va scongiurato ed evitato la possibile autosufficienza del nucleo biologico donna-prole…magari aiutata dalle altre donne del gruppo..in una catena di solidarietà femminile che renderebbe di fatto non necessaria la presenza del maschio.

Le donne vengono disperse pertanto isolate nella patrilocalità, regola di residenza che prevale in tutte le culture, che stabilisce che la donna, sposandosi, abbandoni il proprio gruppo e la solidarietà con le donne del suo gruppo e vada a vivere, straniera, nel gruppo del marito. Qui non troverà madri e sorelle, ma donne gelose, ostili e rivali, suocera e cognate..

Ruolo sociologico del padre.. procurare il cibo… Il giovane Arapesh costruisce il corpo della giovane moglie… (M. Mead)

Si capisce che la costruzione sociale dei ruoli maschili, che affermino la necessità del maschio nella famiglia e nella società, va di pari passo con la costruzione dell’inferiorità della donna come essere debole, non autosufficiente e fonda la sua subordinazione….

Alla fine di tale processo, sarà inevitabile dire che l’incapacità della donna a provvedere a se stessa sarà la causa e non l’effetto..

Se le istituzioni patriarcali sono tali perché la donna ha bisogno di un custode e di un guardiano, allo stesso modo Malinowski indica nel principio di legittimità un principio che di pone innanzitutto dalla parte del bambino… la couvade serve per accentuare il principio di legittimità, cioè il bisogno che un bambino ha del padre…

La dipendenza è ora tutta capovolta: non è più il maschio che ha bisogno di donna e prole per trovare un posto nella parentela e nella discendenza, ma sono donne e bambini che hanno bisogno di lui, il bisogno dei più deboli di essere protetti dal più forte.

N.B. Che il modello normale di famiglia sia quello migliore, non è quello che l’autrice vuole mettere in discussione, ma vuole chiarire che il principio di legittimità dei figli è stato imposto nell’interesse del padre e non tanto nell’interesse del bambino come viene comunemente presentato… Originariamente, non è il figlio ad aver bisogno di essere riconosciuto dal padre , ma è il padre che ha un fondamentale bisogno di essere riconosciuto.

Ma come è possibile che le donne non siano state capaci di reagire?

Matrimonio per ratto, uomini coalizzati e armati che di impossessavano di donne sole e disarmate…scrive Mellissaux ( un contributo maschile che mira a ricostruire la condizione femminile quale condizione non naturale , non riconducibile a immaginarie capacità distinte dei due sessi… dato che in natura nulla spiega la divisione sessuale del lavoro…( Claude Meillassoux “Donne, granai e capitali” , 1978)

I compiti che fanno della donna la serva dell’uomo sono imposti alle donne con la costrizione e quindi sono fatti culturali che devono essere spiegati e non servire da spiegazione… Mellissaoux sottolinea che c’è solo una specializzazione inaccessibile all’alro sesso: partorire ed allattare. Quello che dunque la donna può fare in più rispetto all’uomo, e che comunque non le si può impedire di fare, diviene tutto e solo ciò che essa può fare confinata alle sole funzioni biologiche e mansioni domestiche, impedita, resa inabile a fare altro.

La esclusione da compente giudicate maschili, le verranno precluse, diventerà naturale la sua inattitudine e incapacità ad accedere a tutto ciò che, costituitosi come campo di attività e attitudini riservate ai maschi, diviene automaticamente non femminile.

L’effetto, ripetiamo, diverrà la causa… La natura inferiore della donna è ciò che spiegherà la sua condizione sociale…

La costruzione culturale dei ruoli maschili (il padre, il capofamiglia, il cacciatore, il custode, il guardiano, il guerriero..) fonda la dipendenza femminile e si fonda su di essa..

I tutte le culture l’indipendenza della donna è vista come sommo pericolo: .. durante l’infanzia una femmina deve essere soggetta a suo padre, nella giovinezza a suo marito, quando il suo signore è morto, ai figli. Una donna non deve essere mai indipendente… per quanto un marito sia lontano o libertino, una moglie deve sempre adorarlo… scrive nel 1886 l’inglese Bulher.

Resa dipendente da lui in tutto, la donna non avrebbe avuto altro destino che il matrimoni.


Sua madre, sua sposa, sua sorella

Simone de Beauvoir, formulò la precisa categoria filosofica di “in essenzialità” per esprimere la specificità di essere donna in questo mondo… l’uomo soggetto sovrano, il superiore assoluto, l’essere essenziale… la stessa dopo aver studiato attentamente tutto il sapere umano per capire come mai le cose fossero andate proprio così per le donne, scrive: questo mondo è sempre appartenuto al maschio, ma nessuna delle spiegazioni che sono state date ci è sembrata sufficiente…

Il lavoro di Giuditta Lo Russo ha voluto, mediante il lungo viaggio antropologico nel maschile, avvicinarsi alle possibili ragioni che avrebbero contribuito a rendere la condizione femminile quale di fatto è stata. In effetti la donna non c’è , non l’abbiamo mai incontrata come soggetto, la cultura ci si è presentata invariabilmente, con uno sguardo retrospettivo, come impresa tutta al maschile.

Levi-Strauss, nelle ultime pagine de 2le strutture elementari della parentela” tanto detestato dalla critica femminista, cerca di mediare e riconosce alle donne , pur essendo merce si scambio fra uomini, il valore di soggetto…. In un dialogo fra uomini…

Precedentemente la LoRusso aveva evitato di parlare della teoria del matrimonio LeviStraussiana come “scambio delle donne fra uomini”, tanto poco amato dalla donne della cultura femminista.

Ma il lavoro di Levi-Strauss, secondo Giuditta LoRusso, che non va scartato a priori, ma è così importante che deve essere studiato e analizzato a fondo. Levi-Strauss anche se non convince, è un grande dell’antropologia soprattutto perché è riuscito a legare in una unica compatta teoria proprio quei caratteri universali della cultura ( regola della proibizione dell’incesto, matrimonio e sistemi di parentela) che sono collegati al problema maschile della ignoranza della paternità nei tempi arcaici.

Ricordiamo che la regola della proibizione dell’incesto è la regola di dare le proprie donne fuori dalla propria famiglia come doni da scambiare . Se lo stato di natura conosce solo l’appropriazione, lo stato di cultura conosce la reciprocità fra i gruppi., rendendo possibile attraverso la circolazione delle donne e la colleganza matrimoniale, quella che è stata la primitiva trama di rapporti sociali che è la parentela.

L’esogamia è l’estensione del tabù dell’incesto a tutte le donne del gruppo, le quali, nello stesso tempo che sono vietate agli uomini del loro gruppo, divengono disponibili per uomini di un altro gruppo e sono lo strumento attraverso il quale è possibile stabilire tra gli uomini dei due gruppi alleanza e parentela sociale.

Per Levi-Strauss , collegare, alleare, imparentare gli uomini attraverso la circolazione delle donne, questo è, nella società primitiva, lo scopo primario del matrimonio e il significato sociale della proibizione dell’incesto. Anche se lo scambio non è economico, ma sociale, quello che emerge secondo Levi-Strauss è che il fine del matrimonio non è mai quello di unire un uomo con una donna, ma è quello di unire gli uomini attraverso le donne. Vari racconti etnografici testimoniano di come funziona il matrimonio fra le società primitive… John Middleton descrive il matrimonio in Uganda nella tribù dei Lungbara…pag 185

Successivamente, dopo la progressiva inferiorizzazione della donna e la sua definitiva svalutazione, avremo una situazione capovolta: la dote, fornita dal padre della sposa, sottolinea come il matrimonio è visto ormai come sistemazione della figlia che, economicamente improduttiva e dipendente, non ha altro destino che trovare un marito che la mantenga.

La donna è sposata, un uomo la dà in moglie, il marito la prende in moglie… significativa sopravvivenza di questa situazione è il rito nuziale: la sposa viene accompagnata all’altare dal padre…e consegnata al marito…

La critica che muove Giuditta lo Russo a Levi-Strauss non è tanto quella di aver spiegato che il fatti sono andati così (critica mossa dal pensiero femminista..) ma di non aver saputo spiegare perché sono sempre stati gli uomini a scambiare le donne! L’autore de Le strutture non riesce a darne motivazioni concrete, e finisce col dire che è stato un dato mentale originario, che non può che restare misterioso..

La LoRusso sostiene che il limite di LeviStrauss è stato quello di non voler indagare, di eludere il problema dell’ignoranza della paternità alle origini…e della primitiva esclusione dei maschi dal sistema genetico procreativo.

Secondo C. T. Altan, La funzione di una struttura della cultura è quella di risolvere un problema umano… la ricerca antropologica dovrà pertanto individuare, focalizzare il problema e trovarne la relativa soluzione di cultura…

Ma sappiamo dall’inizio del nostro discorso che la scienza antropologica ha trovato irrilevante il problema dell’ignoranza della paternità delle origini, così coperto, sepolto proprio quello che andava sviscerato nel suo intrinseco significato problematico.

Carlo Tullio Altan precisa che i problemi sono sempre problemi in relazione a qualcosa, anche la soluzione è sempre soluzione portata da qualcuno in relazione a qualcosa: il soggetto (collettivo) che trova e impone la soluzione non può essere che lo stesso che vive la situazione come problematica.

All’uomo si imponeva il compito di intervenire e rimodellare , correggere una situazione naturalmente data in una situazione culturalmente costruita… e lui sarà il soggetto di ogni iniziativa di tutti gli interventi complessivamente finalizzati a costruire nel sociale un “nuovo ordine” che innanzitutto includa gli esclusi.

Questo imponente sforzo di organizzazione collettiva per risolvere il comune problema l’ hanno fatto gli uomini, alleandosi tra loro. Il potere che ne è derivato si è costituito nelle loro mani.

Come già notato, il processo di progressiva sistemazione sociale della figura maschile, sarà parallelo al processo di inferiorizzazione, dipendenza, emarginazione, esclusione della donna nell’universo socio-politico-culturale ed economico..


Questa dimensione, che fin dall’inizio impronta tutta quella che sarà la complessa strategia della parentela, è già molto chiara ed evidente nell’analisi antropologica della sua struttura elementare minima, quella unità di relazioni basilari che Levi-Strauss ha chiamato atomo di parentela la struttura semplice risultante dalla proibizione dell’incesto: fratello +sorella+padre+marito+figlio per cui 4 tipi di relazioni sono presenti e collegate: fratello-sorella, marito-moglie, padre-figlio, zio materno -figlio della sorella.

Per Levi-Strauss c’è l’estromissione della madre, anche se è la donna che crea le relazioni, non menziona la relazione madre-figlio.

La prima relazione, quella genetico-procreatrice è la prima che viene scalzata dal nuovo ordine sociale parentale che ci fa intravedere la sua funzione primaria, quella di includere i maschi, esclusi e periferici.

I legami artificiali prevarranno su quelli biologici, diminuirà e verrà negato il legame di sangue a favore dei nuovi legami sociali creati dal matrimonio.

Verrebbe da pensare che la relazione di consanguineità più forte sia quella madre-figlio e che la madre dovrebbe essere comunque il primo termine a partire dal quale si definisce la relazione di consanguineità. LeviStrauss sottolinea che la consanguineità si esprime con il legame fratello-sorella, l’affinità tra moglie –marito e la filiazione fra padre-figlio. (vedi la Trinita…!)

Per Levi-Strauss lo zio materno è un dato imprescindibile nell’atomo di parentela perché è colui che dà in sposa la sorella e conserva i diritti, autorità e responsabilità su di lei e sui suoi figli.

Se per la Lo Russo lo zio materno è corollario dell’ignoranza della paternità, per Levi-Strauss è corollario della legge del dono.

In tutta la teoria di Levi-Strauss, la donna è essenzialmente sorella, la sorella è il dono che permette l’instaurarsi di quel regime di reciprocità, scambio, alleanza in cui il matrimonio è espressione fondamentale.

Un dato antropologico reale in tutte le epoche e in tutte le culture arcaiche, è il vincolo sororale. (forza arcaica del legame di sangue quando non c’è consapevolezza della discendenza biologica tra padre e figlio. > il legame fra fratello-sorella è il più forte di tutti i legami. (Antigone sfida Creonte, zio materno fratello della madre Giocasta, per un atto di pietà verso il fratello).

L’importanza della relazione sororale e il ruolo centrale dello zio materno, che da quella deriva, testimoniano che non è neppure esatto affermare che la parentela sociale scalza in assoluto la parentela biologica, essa tende a sminuire il legame materno, per sottolineare quello dell’importanza della parentela biologica maschile ogni volta che è possibile farlo, precisamente nella relazione fratello-sorella e in quella zio materno-nipote.

L’importanza della sorella è importante perché permette l’alleanza fra uomini, fra cognati, cioè.

Il potere maschile ha poi imposto delle regole che sono quelle della residenza e della filiazione. Nelle società di interesse etnografico queste hanno seguito la seguente linea: forme rarissime matrilineari e matrilocali, a quelle matrilineari ma patrilocali a quelle definitivamente stabilizzate patrilineari e patrilocali forma che generalmente tendono tutte le culture.

L’esogamia e la quasi generale regola della residenza patrilocale hanno giocato un ruolo fondamentale nel rafforzare e cementare l’organizzazione maschile e nel dividere, isolare, disperdere e indebolire le donne. Con il matrimonio gli uomini restano uniti e forti nel loro gruppo con fratelli e cugini, la donna approda straniera in gruppo spesso nemico che la guarda con diffidenza, tra donne rivali e gelose… i Luo del Kenia dicevano, questi sono i nostri nemici, noi le sposiamo… sottolineando che la regola di sposare una nemica era il miglior modo di stabilire alleanze fra uomini…

La regola della patrilocalità separa le donne e disperde le loro potenziali energie rendendo impossibile lo sviluppo di forme di organizzazione e solidarietà femminile.

La LoRusso nonostante confermi la propria ammirazione per il lavoro di Levi-Strauss continua a questo punto a muovergli la critica di non aver visto nel problema dell’ignoranza della paternità la molla che ha prodotto l’assetto strutturale della parentela che si è venuto delineando culturalmente piuttosto che naturalmente. Alla luce dei grandi movimenti strategici che la cultura ha dovuto operare per radicare nel culturale la condizione maschile in assenza di una loro collocazione nel sistema genetico procreativo,, si può considerare lo squilibrio dei sessi nel patriarcato, come risultato di un movimento di simmetria teso a riequilibrare l’originario squilibrio, l’esclusione dal biologico degli uomini.

Percepita come disparità nella natura, le avrebbe fatto riscontro l’altra esclusione, quella della cultura, l’esclusione delle donne sul piano socio-politico-culturale….

Quando poi verrà scoperto, in una cultura complessivamente costruita in senso patriarcale, il ruolo genetico paterno alla riproduzione, lo squilibrio e l’asimmetria a sfavore della donna relegata al solo ruolo domestico e riproduttivo saranno netti e definitivi.


Concludo dicendo che il problema della paternità ha permesso di portare alla luce il continente nero della questione maschile e di illuminarci sui presupposti fondamentali di quella che poi è diventata la questione femminile.

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